giovedì 10 giugno 2010

Kubrick Fotografo - Milano, Palazzo della Ragione


Nello spazio espositivo del Palazzo della Ragione vengono esposte per la prima volta le fotografie realizzate dal celebre cineasta in giovane età durante la sua collaborazione in qualità di reporter con la rivista Look tra il 1945 ed il 1950.
Dei 12000 negativi, per la maggior parte rimasti inediti e recentemente (ri)scoperti nella Biblioteca del Congresso di Washington e negli archivi del New York Museum ad opera del curatore della mostra Rainer Crone in collaborazione con l’Università di Monaco di Baviera, viene offerta una selezione di oltre duecento immagini che documentano la vita della società statunitense del dopoguerra, nel delicato momento di transizione e di differenziazione dalla cultura europea.
Tale era l’obiettivo editoriale di Look; Kubrick rende questa evoluzione attraverso i suoi reportage utilizzando un linguaggio che prefigura già la sua abilità come regista, ossia facendo storie narrate per immagini, trasformandole da statiche in sequenze che creano originali racconti fotografici, sequenze di immagini come fossero veri e propri fotogrammi. L’ambiguità risulta essere la chiave di lettura della sua opera, accompagnata anche da un senso di estraniamento ed alienazione: vi è l’interesse per tutto ciò che non è definito, ciò che non è più e ciò che non è ancora; in questo linguaggio già ben articolato, nonostante la giovane età di Kubrick, si affianca l’artificio, ossia l’estremo studio delle posture e dei gesti dei personaggi immortalati dalla macchina fotografica, nonostante le fotografie sembrino comunicarci una certa naturalezza.
I soggetti che il fotografo – cineasta immortala sono principalmente legati alla città di New York, ma non solo: illustra il cruento mondo della boxe ritraendo Walter Cartier, che sarà poi protagonista del suo “Day of the fight” (1951) e Rocky Graziano; il mondo dei personaggi famosi (Montgomery Clift e Frank Sinatra) e dei nightclub; l’ambiguo ambiente circense; le persone nelle strade e nelle metropolitane; Harlem e la comunità afroamericana legata al jazz; l’ambiente universitario (Columbia e Michigan University); il mondo della criminalità, tramite il Paddy Wagon, che sarà un’anticipazione di “Rapina a mano armata” (1956); la giornata di un lustrascarpe; il Portogallo; Mooseheart, la città degli orfani. Tutte queste tematiche dimostrano un interesse vitale per il mondo che lo circonda passando da milieu sociali completamente diversi ed agli antipodi tra loro, sempre nel solco del contrasto e dell’ambiguità.
Possiamo notare la volontà di Kubrick di riassumere la società newyorkese, ma più precisamente americana, facendo di New York lo specchio di una nazione in evoluzione e che vuole diventare il nuovo punto di riferimento tuttavia con la volontà di mostrare, al di sotto della sfavillante superficie, il senso di alienazione e minaccia visto nelle complesse interazioni tra le persone.
Nella fotografia di Kubrick possiamo rintracciare importanti riferimenti a personaggi del calibro di Stieglitz, Rodchenko e Moholy – Nagy ma soprattutto Henri Cartier – Bresson; nonostante queste influenze il linguaggio dell’artista è già maturo e dotato di intensità figurativa nonché di raffinatezza compositiva. Kubrick mantiene sempre e comunque uno sguardo dissacrante, dissezionante e iperrealistico concentrandosi sull’intensità psicologica delle persone che ritrae; essendo tuttavia sempre conscio della parzialità del mezzo che sta utilizzando in quanto nella fotografia vi è sempre qualcosa in ombra e di non definito: l’inosservabile e l’invisibile, ossia il terzo ignoto, che è sempre presente ma mai visibile in quanto incarna qualcosa di inafferrabile dal mezzo fotografico, quindi la fotografia è solo un mezzo parziale per l’indagine del mondo che vuole ritrarre perché ne restituisce una visione incompleta.
La scelta curatoriale vorrebbe mettersi in continuità con il linguaggio figurativo e poetico dell’artista esprimendo con la massima forza e semplicità la realtà della cultura americana.

Per quanto concerne l’allestimento e la scelta della location è possibile dire che probabilmente la scelta del Palazzo della Ragione, edificio del sec. XIII con funzioni civili fino all’età teresiana e rimaneggiato negli Ottanta del sec. XX quando diventa uno spazio espositivo, rientra nella logica di estraneamento tipica della fotografia di Kubrick: infatti agli affreschi medievali e barocchi del Broletto si contrappongono le sequenze fotografiche, realizzate su carta fotografica dai negativi originali.
Il percorso espositivo si articola in nove sezioni, corrispondenti a nove diversi reportage creati per Look; tuttavia esso non risulta né chiaro né organico in quanto non è possibile rintracciare una metodologia espositiva chiara né da un punto di vista tematico né cronologico, così da risultare poco visitor friendly.
Anche da un punto di vista esplicativo il visitatore incontra alcune difficoltà: le sezioni sono introdotte da scarni pannelli esplicativi e nessuna delle fotografie è corredata da didascalie; il corredo introduttivo iniziale risulta poco efficace per il pubblico in quanto non rende il rapporto che lega la produzione di Kubrick quale fotoreporter con il mondo dell’editoria americana degli anni Cinquanta incarnata dalle riviste Look e Life che intendevano ritrarre una società in evoluzione e di cui si voleva, più o meno velatamente, mostrare le contraddizioni e le potenzialità.
Le riproduzioni sono esposte su pareti lignee di colore grigio chiaro entro ampie cornici dal bordo scuro e lasciate quasi fluttuare entro ampi passpartout; la scelta coloristica sembra un po’ svilire sia le opere sia l’ambiente lasciando dominare i toni freddi che creano grandi contrasti (il bianco e nero delle fotografie, il bianco dei passpartout, il nero delle cornici ed il grigio delle pareti lignee di supporto). Questa scelta di contrasto e di oscurità viene anche ribadita dall’illuminazione: l’intero percorso è buio, le opere sono illuminate da coni di luce creati da faretti puntati direttamente su di esse, come fossero dei riflettori.
Volendo fare un bilancio forse la scelta di allestimento è volutamente scarna, monocorde e ripetitiva; probabilmente per mettersi in continuità con il linguaggio figurativo dell’autore e creare nel visitatore quel senso di straniamento e di ambiguità tanto ricercato nelle fotografie come anche la volontà di non identificazione del pubblico con la storia narrata nell’ottica di avere di fronte il soggetto ma capire che è distante da noi; forse è questo il messaggio sottile che i curatori hanno, o meglio avrebbero, voluto comunicare. Ciò comporta una certa difficoltà nel visitatore che si sente abbandonato e fuorviato da immagini che non viene messo in grado di comprendere a causa dell’esile corredo esplicativo e delle scelte di esporre alcune riproduzioni sulle pareti come fossero poster pubblicitari abbandonati casualmente.
Concludendo possiamo dire che certamente il soggetto della mostra si sarebbe prestato ad un’interpretazione espositiva di maggior pregnanza e che avrebbe potuto illustrare in modo esaustivo un momento cruciale per l’evoluzione del linguaggio cinematografico del cineasta; invece sia le opere sia i visitatori risultano avviliti da un’impostazione ellittica e poco esplicativa.

Kubrick Fotografo
Palazzo della Ragione, piazza Mercanti 1 - Milano
dal 16 aprile al 4 luglio 2010

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